Domenico "Mimmo" Rizzo

关于作者

Domenico "Mimmo" Rizzo nasce a Maierato (VV) nel 1959 e vive a Roma dal 1987. Da sempre appassionato di lettura e scrittura, nel 1978 scrive il racconto “La prima volta che vidi mio padre” con il quale vince il Premio Letterario indetto dal “Circolo Nuovi Orizzonti” di Santa Maria del Cedro (CS). In seguito si appassiona all’enigmistica classica e nel 1982 pubblica sulla rivista Penombra il palindromo “Avida di vita, desiai ogni amore vero, ma ingoiai sedativi, da diva”, riferito a Marilyn Monroe e considerato tra i più belli della lingua italiana. Nell’arco di vari anni scrive inoltre versi in vernacolo calabrese e in romanesco. Nel 2019 gli torna la passione per la narrativa e scrive dapprima la favola moderna “Riccio e Love” e poi la serie di gialli sociali: “Il CRIM indaga”, “Il CRIM uccide”, “Agenzia Investigativa CRIM” e "La reclusa del CRIM". Intervista immaginaria D - Da quanto tempo scrivi? R - Ho sempre letto tantissimo e dopo un po’ mi è venuta voglia di scrivere. Da ragazzo ho pure iniziato un giallo, ricordo che mi ero messo a scrivere senza nemmeno pensare alla trama. Però mi sono bloccato al primo dialogo, non riuscivo a dare nomi credibili ai personaggi. Diventato più adulto ho cominciato a scrivere racconti, nel 1978 ho pure partecipato ad un concorso letterario e l'ho vinto. Il racconto s'intitolava "La prima volta che vidi mio padre" ed era una storia vera, la storia di mio zio Giovanni e di suo padre emigrato in America. Lo ha veramente conosciuto quando aveva già quasi dieci anni. Ricordo che la giuria lo descrisse come ispirato alle tematiche care a Saverio Strati, il bello era che io allora non avevo ancora letto nulla di suo, poi però ho rimediato e devo dire che la giuria aveva ragione. D - E da allora che hai fatto? Non hai scritto più niente? R - Dico sempre che le passioni vanno e vengono, a me è venuta quella per la poesia in vernacolo. Ho scritto tante poesiole in dialetto calabrese e da un collage di queste ho tratto quello che negli anni '80 era considerato l'inno dell'Università della Calabria, quello che cominciava con "Chi munta chi mi veni certi siri". D - Siamo arrivati agli anni '80, e poi? R - E poi è arrivata un'altra grande passione: l'Enigmistica Classica. Per anni ho creato e risolto giochi enigmistici: Enigmi, indovinelli, anagrammi e crittografie. Ma la mia passione erano i palindromi, ero ancora giovanissimo quando ho scritto quello ispirato a Marilyn Monroe: “Avida di vita, desiai ogni amore vero, ma ingoiai sedativi, da diva”. D - Quando ti è tornata la passione per la narrativa? R - In realtà non mi ha mai abbandonato, solo che l'ho vissuta in maniera passiva, leggendo sempre e spaziando tra vari generi: dal classico, agli scritti umoristici, ai gialli. E proprio un giallo ho sempre sognato di scrivere, solo che mi bloccava il fatto che non riuscissi a trovare un protagonista originale. Tutte le categorie erano già inflazionate: poliziotti, detective privati, avvocati, preti, monaci e medici erano già stati abbondantemente usati. Dovevo trovare qualcosa di originale. Allora ho pensato di ispirarmi al mio lavoro e alla mia passione per la bicicletta. Così è nato Agusto, il rider che frequenta un "Centro per la Riabilitazione e l'Igiene Mentale", il CRIM. In un paio di mesi è nata la struttura del primo libro (formata da due episodi distinti, anche se collegati) e tra un episodio e l'altro ho scritto Riccio e Love. In seguito sono venuti fuori gli altri tre libri del CRIM. D - Come sono i tuoi libri? R - Sono dei testi leggeri, semplici. Mi dicono che si leggono con piacere e a volte riescono anche a strappare un sorriso. Non ci trovi un morto ammazzato in ogni pagina, sono dei racconti nei quali al meccanismo del giallo si privilegia l’aspetto sociale e dove predominano i caratteri rispetto alle situazioni. D - Come nascono le tue storie? R - Parto dall'idea, l'embrione della storia, e poi la sviluppo scrivendo. Spesso, quando inizio a scrivere, non ho idea di come sarà il finale, di chi sarà il cattivo di turno. A volte cambio in corsa. In qualche caso sono stati proprio i personaggi a imporsi e a chiedermi un finale diverso. Non sto scherzando... D - I tuoi personaggi sono molto cambiati tra una storia e l'altra. R - E' vero. All'inizio avevo pensato Agusto come personaggio centrale, volevo un protagonista originale e per questo avevo scelto un malato di mente che fosse anche un rider. Poi Skizzo e il Comandante mi hanno preso la mano e si sono imposti, mentre Agusto, che ormai tutti chiamano Ercolino, dopo il matrimonio si è un po' defilato. D - Ti ispiri a qualche autore in particolare? R - Più che ispirazione, è affetto. Tralasciando i mostri sacri come Montalban e Montalbano, amo molto i gialli di Fred Vargas e quelli di Alicia Giménez Bartlett. Tra gli italiani adoro: Faletti, Manzini, Carofiglio, Carlotto, De Giovanni, Sandrone Dazieri e il Coliandro televisivo dal quale ho preso in prestito la sigla iniziale per usarla come suoneria del cellulare. Ho volutamente lasciato per ultimo Gaetano Savatteri, a lui invidio la soave levità della scrittura e la coppia La Manna e Piccionello, una delle più riuscite del panorama noir italiano.

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